3° Puntata – Lungo la Via della Seta
Samarcanda me la aspettavo diversa: cosa resta del fascino della Via della Seta? Dove sono i caravanserrai, le stradine strette e tortuose, le grida dei mercanti, gli odori e la confusione dei bazaar? Insomma, cosa resta della citta’ vecchia? Nulla, purtroppo. Maestosi e spropositati si ergono i monumenti voluti da Tamerlano – scuole coraniche, moschee e mausolei – cupole di un azzurro scintillante, raffinati mosaici, in mezzo alla rigida pianificazione sovietica, fatta di viali multi corsia e grigi condomini.
Bukhara invece, il secondo centro uzbeko, per importanza, della Via della Seta, mantiene ancora, grazie ad una citta’ vecchia ben conservata e ancora popolata, un fascino lontano e orientale; e allora riesci quasi a percepire quelle sensazioni che dovevano provare anche i mercanti, in passato, quando approdavano dopo lunghe e faticose settimane di carovana e godevano dell’ accoglienza della sua gente e della sicurezza delle sue mura. La cittaà è ricca di splendide moschee e madresse, oltre un centinaio, si dice; l’edificio più bello è il grazioso Char Minar (i quattro minareti), che fungeva da ingresso ad una madrassa, ormai da tempo scomparsa. Alla sera ci si ritrova ancora intorno alla cisterna, fulcro della citta’, a bere the’ seduti sui divani letto (tea beds) e raccontarsi la giornata, godendo del fresco della notte. Lentamente, il giorno si spegne e le strette strade del centro tornano a essere silenziose.
In Uzbekistan e in particolare a Bukhara, Samarcanda e Tashkent, il caldo in questo periodo dell’anno e’ soffocante. Mi muovo alla scoperta delle citta’ alla mattina o verso sera, mentre nel pomeriggio mi ritiro nella mia stanza e cado in uno stato letargico e sonnolento, fiaccato come sono dalla temperatura al limite del sopportabile. Non so da quanto tempo non facevo piu’ dei sonnellini pomeridiani; probabilmente gli ultimi risalgono ai periodi dell’ universita’, cinque anni or sono.
L’arrivo a Fergana, nell’ omonima Valle, e’ un toccasana. Da me anche ribattezzata “la Valle che non c’e'”, in quanto i monti che la circondano, distanti decine di kilometri, sono invisibili, e’ un oasi verde dal clima gradevole. Da qui provengono la maggior parte della frutta e della verdura che si trovano sulle bancarelle dei bazaar uzbeki e sempre da qui proviene quasi l’intera produzione nazionale di cotone (l’Uzbekistan e’ il secondo produttore mondiale della fibra tessile). Ho la fortuna di assistere al primo temporale da quando sono partito, che allieta la mia notte nel sovietico Hotel Ziyorat, un brontosauro dalla pelle screpolata. Un tempo fiore all’occhiello dell’Intourist (l’agenzia viaggi nazionale uzbeka) e’ un alto condominio di 11 piani, dei quali molti in disuso, che condivide la funzione di albergo con quella di abitazione per alcuni pensionati russi; le porte delle loro camere sono perennemente aperte, la TV e’ quasi sempre accesa ad alto volume e sui tavolini si intravedono bottiglie di vodka. L’atmosfera e’ resa famigliare dalla presenza di quadri, frigoriferi e di alcune sedie per gli ospiti.
A Fergana e nelle altre citta’ della Valle ci sono i mercati piu’ animati e interessanti dell’ Uzbekistan; si svolgono sotto una grossa tettoia, che rappresenta anche il centro del mercato, dove si commercia la frutta e gli ortaggi, mentre tutt’intorno, all’interno di edifici piu’ piccoli si vendono le altre merci: piccoli elettrodomestici, utensileria, carne, prodotti confezionati, vestiti. Personalmente faccio il pieno di dolci vitamine: uva, pesche noci, meloni e angurie; una vera delizia!
In un internet cafe’ conosco Shah, un sorridente ragazzo uzbeko che, con la scusa di dover praticare il suo inglese, mi porta a spasso per Fergana e mi mostra i lati della citta’ piu’ difficili da vedere per un viaggiatore di passaggio come me; ha studiato la lingua da autodidatta e se la cava veramente bene.
La Valle e’ condivisa da Uzbekistan e Kirghizstan e il passaggio alla mia nuova destinazione e’ breve; due cambi di minibus e poi la frontiera: e’ il 4 agosto e mi trovo a Osh, in terreno kirghiso.
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