Una domenica a Castelbuono

Domenica d’Agosto, ore 8.00 del mattino.

Sveglia con insight incorporato: mare, sole, spiaggia, sdraio, libri e gelati. Eureka ! Yuppitè !

Dunque, lo slogan della giornata era: â??Un solo grido, un solo allarme, la pelle in fiamme, la pelle in fiamme !â?.

Io e la mia compagna, come prima cosa, ci sentiamo al telefono per ricordarci a vicenda di portare l’ombrellone, i panini, l’acqua ghiacciata, la frutta e altre zozzerie culinarie.

Ci rendiamo conto però di aver tralasciato un piccolo particolare: le finestre delle nostre stanze erano chiuse ermeticamente. Decidiamo, quindi, di far cessare la draculea atmosfera e di alzare la serranda.

Il destino decise allora di farci affogare nel ludibrio.
La scena fece immediatamente chetare le nostre emoglobine già pronte con occhiali da sole e bibita alla menta. Nuvoloni, vento sostenuto, raggi fiochi di sole.
Noi tapini, noi miseri.

Prendendo la cosa con filosofia ed estraendo pertanto le nostre rispettive teste dai forni a gas delle nostre altrettanto rispettive cucine, decidiamo di optare per una domenica fuori porta dal sapore cultural-enogastronomico-godereccio-cazzeggiante.

Meta prescelta e tanto agognata la città di Castelbuono, cittadina della provincia palermitana nel bel mezzo del Parco delle Madonie.

â??Capoluogo della potente contea del Ventimiglia nel XV secolo, Castelbuono ha conservato memoria della sua storia gloriosa soprattutto nella vestigia del Castello. La chiesa Madre, con campanile trecentesco e portico rinascimentale, è l’altra attrattiva di questo borgo che oggi conta 10.000 abitanti, particolarmente animato di sera, con stradine piene di gente e piazzette rallegrate da concertiâ?, così recita la nostra guida.

Giusto il tempo di veloci preparativi (si fa per dire) e sono già le 13.00. Da Palermo si imbocca la A29 PA-CT e si procede verso Messina. Dopo 50 minuti si raggiunge lo svincolo per Castelbuono e si passa sulla strada statale. Nota motoristica: se avete una Subaru Impreza 4WD e una fidanzata a prova di spruzzo, allora il tragitto farcito di curve sarà per voi un piacevole percorso rallystico, ma se come me avete una Punto 1200 2WD e una fidanzata accanto pronta a far cambiare il colore della tappezzeria al vostro bolide, allora il tragitto vi sembrerà una felice passeggiata fra le montagne. Se venite sorpassati da marmotte zoppe, allora iniziate a preoccuparvi.

Ci dirigiamo subito in direzione del centro di Castelbuono ed entriamo finalmente nel paese.

Ormai sono quasi le 14.00.

A quest’ora cosa mai potranno fare due soggetti assettati di cultura e desiderosi di conoscere ogni piccolo dettaglio della città e degli indigeni della zona ? Ma certamente andare a pranzo !

Cerchiamo così un locale ed optiamo per l’Hostaria Cycas. Poco prima però ci soffermiamo ad osservare l’unico lampione-fontanella visto nella nostra esistenza. Evitiamo di abbeverarci in quanto non appassionati della pettinatura Afro e ritorniamo alla precitata locanda.

Entriamo e siamo praticamente soli. Superato l’iniziale smarrimento, veniamo accolti dal titolare che, illustrandoci ciò che era rimasto dal passaggio di avventori tanto religiosi quanto famelici, ci aiuta a scegliere le ghiottonerie locali (n.b. essendo la zona nota per la selvaggina in cattività, vi consiglio sempre la carne e specialmente quella di cinghiale).

Ambiente carino e legnoso, molti quadri appesi ai muri ed estrema cura nei dettagli

Abbiamo così scelto:


– antipasto con formaggi, salame di cinghiale, funghi, radicchio e involtini di melanzane;
– caserecce con asparagi e salsiccia e ravioli ai funghi;
– acqua minerale e ¼ di vino rosso bello tosto.

Si è mangiato bene, non si è pagato molto ed il proprietario, prima che ci congedassimo, ha voluto mostrarci le copertine della carta dei vini personalizzate dai singoli pittori che, volta per volta, esponevano nei locali dell’Osteria.

Lasciamo il locale e ci tuffiamo nella cultura, con la speranza di vedere più possibile e di smaltire il â??mantecatoâ? che ha formato una palla di gomma nel nostro intestino.

Ci infiliamo nel corso principale e tutto è ovattato nella calma di un sonnacchioso pomeriggio domenicale. La nostra camminata flemmatica viene disturbata solo da un giovine centauro dalla Harley facile e da un continuo sottofondo di enfisema polmonare che i vecchietti del luogo usano, secondo me, come richiamo senile o velato messaggio gutturale di benvenuto. Comunque sia, le strade sono ben pulite e molte case sono ristrutturate. Non sembra proprio di essere in Sicilia, l’atmosfera è quella di un borgo medievale che subito ti cattura e ti affascina.

Vi elargisco un primo consiglio gratuito (purtroppo non ho ancora avuto accesso al servizio PayPal): come prima cosa andate a vedere il Castello di Ventimiglia, pagate le sante 2,00 â?¬ e piazzatevi al secondo piano dove, in una stanza apposita, un proiettore vi darà tutte le informazioni che volete su Castelbuono. Sedetevi comodamente nelle poltroncine e prendete appunti, è veramente fatta bene. Mannaggia a noi, a saperlo prima !

Al Castello ritorneremo fra un pò.

Dopo un breve tragitto raggiungiamo la Piazza Margherita (ho detto piazza non pizza !) che è la piazza principale del paese dove si scaglia verso il cielo la bella Chiesa della Matrice e al cui centro si evidenzia una gradevole e non attiva fontana.

Prima di procedere verso Nord veniamo avvicinati da un abitante del luogo che, in maniera silenziosa e complice, ci passa quasi clandestinamente un pizzino reclamizzante un B&B nei dintorni. L’aria, ormai resa pesante dall’increscioso occorso ï?, viene stemperata da un provvidenziale caffè al Cin Cin Bar. Il cameriere al nostro ingresso ci saluta in francese e noi, ovviamente, rispondiamo in Georgiano.

E stranamente ci capiamo.
Beviamo il caffè e ritorniamo alle nostre faccende conoscitive.
Saliamo in direzione del Castello e, dopo aver sorpassato un anfratto con uno stupendo dipinto di almeno 3 metri di altezza, andiamo verso le mura al cui interno si trova il Castello dei Ventimiglia.

Veniamo gradevolmente sorpresi dal fatto che il Comune di Castelbuono, chiedendo una sovvenzione agli esercenti locali, ha dotato le vie di eleganti cestini per i rifiuti riportanti il nome della ditta che ha contribuito al suo acquisto. Bravi e belli.

Superiamo così l’ingresso alle vecchie mura di cinta del Castello e ci troviamo subito in un ambiente prettamente medievale colmo di storia, antichità e cultura. Davanti a noi l’imponente Castello che si presenta in tutta la sua bellezza, sulla destra l’antica Chiesa di un convento e, dulcis in fundo, un percorso per macchine telecomandate. Qualsiasi storico per questo ultimo particolare sarebbe andato in brodo di giuggiole.

Di particolare pregio folkloristico la presenza di una Volkswagen Golf di un simpatico maniaco del Tuning (elaborazione delle vetture, per chi non fosse addentro alla grezzitudine) che presenziava alla manifestazione come per dare una nota di colore aggiuntiva (sarà stato un dipendente dell’AAPIT in borghese?).


Sulla sinistra della piazza antistante il Castello si possono ammirare in tutta la loro bellezza le montagne ed il panorama del territorio che circonda Castelbuono, il chè ci regalò un non so chè di serenità e pace. La suoneria del mio cellulare con â??American Idiotâ? dei Green Day rovinò successivamente quell’idillio.

Prendendoci di coraggio, un due tre ci siamo addentrati nel Castello.
L’interno è molto ben tenuto e la struttura si sviluppa su tre livelli. Come da targa rimembratrice, â??il Castello che diede il nome al paese fu fondato nel 1306 sul poggio di Ypsigro da Francesco I° di Ventimiglia divenne proprietà comunale nel 1920 mediante sottoscrizione popolareâ?.

All’interno si trovano una quantità non indifferente di reperti storici, libri, abiti talari, statue mediamente inquietanti e una cappella privata di grande pregio che, però, non sarà possibile fotografare. Accanto alla cappella, che custodisce il sacro teschio della patrona S. Anna, c’è un bel terrazzino dal quale si può ammirare tutta la vallata e magari lasciarsi andare a riflessioni esistenziali.

Avendo così raggiunto la consapevolezza dell’esatto conteggio delle calorie assunte con l’ultimo abbondante pasto, ci abbandoniamo ad una sfrenata scorribanda lungo i corridoi e le stanzette che, man mano, si aprono davanti a noi. Le stanze, spesso in penombra, hanno un qualcosina di tetro e misterioso, e trasmettono un po’ di agitazione. L’immagine di un grande crocifisso che si intravede attraverso una grata posta sotto i nostri piedi e il relativo sobbalzo ci suggeriscono che è meglio prendere una boccata d’aria.




Finito â??il tranquillo week-end di pauraâ?, gongoliamo attorno al Castello e lì, proprio lì (lì non vedete ?) la mia compagna dà l’ennesima prova (l’ennesima+1 dopo qualche minuto) della sua estrema sintonia col mondo animale (d’altronde non avrebbe mai trovato me se così non fosse !).

Un delizioso cucciolo di cane dal nome Chicco, superata l’iniziale diffidenza, si lancia in una danza â??avanti-indietroâ? fra le mani coccolatrici della mia â??Ella, la Dea degli animaliâ? e il tutto si protrae per qualche minuto, con pipì di contentezza annessa. Del cane, ovviamente.

Lasciato, nostro malgrado, il cucciolo ai suoi legittimi proprietari, ci lanciamo verso la metà più ambita dall’universo femminile, lo shopping.
Ritornando indietro verso la Piazza, ci imbattiamo nel presidio Slow-Food â??Manna, Miele e Gusto – Sciaru di Siciliaâ? dell’Azienda Agricola Gelardi, specializzata in Manna, e ci accoglie in maniera cordiale e preparata la Sig.ra Cecilia.

Ci spiega che la Manna, sostanza biancastra estratta dal frassino attraverso delle incisioni nel momento in cui la pianta â??è in amoreâ?, è un portentoso ritrovato della natura dalle proprietà digestive, lassative, purificanti, decongestionati e tanto altro.

In passato, la linfa dalla quale si estraeva la Mannite veniva raccolta, lavorata e consegnata all’ESA, ente di Sviluppo Agricolo della Regione, per cui molti contadini si prodigavano in quest’attività. Ma da quando l’industria scoprì il metodo di ottenere sinteticamente la Mannite, la richiestà del prodotto calò bruscamente, così come l’interesse dei contadini nel raccoglierla.



Da molto tempo, la Sig.ra Cecilia e la sua Azienda si battono affinché si possa ritornare a dare risalto e spazio alla Manna, che, secondo il mio modesto avviso, credo sia un ottimo esempio di come la Natura ci dia la possibilità di nutrirci, e magari curarci, con ciò che ci mette a disposizione. Io e la nostra interlocutrice ci intratteniamo non poco a parlare di Associazionismo, Equo e Solidale e quant’altro, mentre la mia compagna preferisce, non senza merito, scegliere i prodotti da regalare ad amici e parenti assortiti [per info www.mannamielegusto.it oppure mannamielegusto@gmail.com ].

Carichi di prodotti (provate il cioccolato con la manna !) salutiamo e ci incamminiamo alla ricerca di un dolce di cui avevamo sentito parlare e che la maggior parte dei pasticceri ci diceva che potevamo gustare solo su ordinazione, la Testa di Turco.
Ma il nostro indice glicemico non ci ha fatto desistere e alla fine abbiamo trovato nell’Antica Pasticceria del Corso un’intera forma del tipico dolce locale, che altro non è che crema di latte racchiusa fra due sfoglie con sopra una spolveratina di cannella e cioccolato.
Ci sediamo ai tavolini per gustarne due pezzi e per un paio di altri provvidenziali caffè quando notiamo, ad un paio di tavoli accanto, una strana scena.
Una signora di Palermo in evidente stato di gravidanza, seduta pacifica e serena, viene abbordata da un vecchietto che le dà il benvenuto e inizia un’improbabile conversazione con la stessa, come se la conoscesse da tempo.
Notiamo il suo evidente imbarazzo e, dopo qualche minuto, l’arzillo signore si alza e si avvicina a noi, dandoci il benvenuto.
Si presenta, Domenico Prestigiovanni, e va dritto al sodo. Se gli offriamo qualcosa ci dirà una poesia. Un caffè ? No, preferisce una granulosa al limone, che altro non sarebbe che la granita chiamata in gergo locale.

Abbozziamo e ci spostiamo nel tavolo della graziosa signora in dolce attesa. Dopo aver finito la consumazione, il Sig. Domenico si cimenta in una veloce esposizione poetica e, alla fine, dedica alla mia compagna la canzone del ventennio che recita â??Mamma son tanto feliceâ?¦â?, con contorno di malcelato giubilo da parte degli altri anziani presenti.


Ringraziamo per tanto onore e ci allontaniamo in direzione della macchina. Prima però la mia â??Dottor Dolittleâ? in gonnella intrattiene un interessante set fotografico con un carino micetto incontrato per la strada soprannominato da noi Birillo per la sua facilità nel rotolarsi a terra.

Il sottoscritto veniva considerato dal felino fotomodello quanto un calcolo renale da parte di un ortopedico mentre la mia fidanzata veniva ricambiato dal ruffiano gattastro con tutta una serie di ammiccamenti, pose hard e miagolii strategici. Ammetto di aver provato un po’ di gelosia.

Stanchi, carichi di acquisti modello â??mamma apri il negozio che sono arrivati i gonziâ? e pronti a intraprendere la strada del ritorno, mi soffermo davanti a Ella, mi metto in ginocchio e le canto â??Mamma son tanto feliceâ?¦â?.


Asciugatomi l’occhio da un’improvvisa concentrazione di umidità, mi alzo, faccio accomodare la donzella e mestamente ritorniamo a Palermo, con in mente ancora la cosa più bella che abbiamo visto a Castelbuono, ovviamente la Testa di Turco.

PS PER L’AAPIT: ovviamente sto scherzando ! E’ stato tutto stupendo e poi abbiamo scoperto due cose splendide: che la Testa di Turco mangiata dopo un giorno è ancora più buona e che esiste a Castelbuono uno strano metodo per l’irrigazione delle piante da vaso. Davvero geniale !

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